In Europa, negli anni ’30, si vide il consolidare del potere dei regimi fascisti in molti paesi mentre in Unione Sovietica, le purghe staliniane mettevano fine ad ogni possibile dissenso interno.
Il nazismo in Germania
Alla morte di Hindenburg (1934) assunse il potere Adolf Hitler, fondatore del Partito Nazionalsocialista e Fuhrer (duce) del III Reich. Nel 1923 si era già messo in evidenza per una violenta insurrezione tentata a Monaco insieme, tra gli altri, con l’ex capo di stato maggiore Ludendorf (il putsch di Monaco) e subito repressa. Nel 1933 diventava Cancelliere e l’anno dopo anche Presidente della repubblica.
Il regime che Hitler instaurò in Germania per molti aspetti ricalcava l’esempio del fascismo italiano: drastica l’eliminazione delle opposizioni, una più stretta militarizzazione della popolazione, più scoperta la finalità imperialistica. Sul piano ideologico il nazismo cercava di mascherare un contenuto sostanzialmente reazionario (antidemocratico e antiliberale) con un culto idolatrico dello Stato e con una parvenza di legislazione sociale che ad altro non serviva che a rendere vana la propaganda socialista. Adatto a interpretare le insoddisfazioni piccolo borghese, sostanzialmente intollerante e settario; congeniale all’imperialismo della classe feudale e militare sempre forte in Germania; legato alle esigenze produttivistiche dell’industria pesante tedesca, il nazismo riuscì presto a prendere radicalmente piede, agitando i temi propagandistici del pangermanesimo e riallacciandosi alla teoria assai condivisa in Germania della razza superiore.
L’ideologia razzista del nazionalsocialismo si fondava sulla pretesa superiorità della razza ariana, i cui più puri rappresentanti erano gli uomini del nord, destinati a reggere le sorti del mondo. I non-ariani, e soprattutto gli Ebrei, che ai loro occhi avevano sempre impedito la realizzazione della vera civiltà, dovevano essere eliminati. Questa fu la base teorica, la squallida motivazione culturale che portò allo sterminio di milioni di Ebrei e di Slavi.
Questa ideologia non poteva che portare a una politica di forza verso l’estero: era necessario anzitutto assorbire nel reich quegli Stati tedeschi che erano ancora staccati o in cui vi era una minoranza tedesca (Austria e Cecoslovacchia) per poi muovere guerra a tutta l’Europa. E gli avvenimenti, guidati dalla follia pangermanista di Hitler, si susseguirono nel giro di pochi anni.
Hitler aveva iniziato la sua politica estera (la Germania era già uscita dalla Società delle Nazioni nel 1933) proponendo la revisione del Trattato di Versailles: nel ’34 infatti la Saar ritornò alla Germania, cui seguì l’occupazione della Renania smilitarizzata, nello stesso anno in cui Hitler denunciò il patto di Locarno. Hitler aveva così raggiunto un primo scopo: l’onta di Versailles era stata in gran parte cancellata.
Passò quindi a realizzare il suo programma pangermanista verso oriente:
Riepilogo cronologico:
1933 | GENNAIO |
Hitler assume la presidenza del Consiglio |
OTTOBRE |
La Germania abbandona la Conferenza per il disarmo e esce dalle Società delle Nazioni |
|
1934 |
Primo tentativo di colpo di mano nazista su Vienna. |
|
Morte di Hindenburg e successione di Hitler a capo dello Stato |
||
1935 |
Plebiscito della Saar |
|
La Germania si rimilitarizza non rispettando le clausole di Versailles |
||
1936 |
La Germania rimilitarizza la Renania |
|
Inizia la politica dell’asse Roma-Berlino |
||
Germania e Giappone firmano il patto Antikomintern |
||
1938 | MARZO |
L’Austria viene occupata ed annessa alla Germania |
SETTEMBRE |
Conferenza di Monaco per la questione dei Sudeti |
|
1939 |
Hitler occupa la Cecoslovacchia |
|
Patto d’acciaio fra Roma e Berlino |
Il comunismo in Russia
Il colpo di stato bolscevico attuato il 7 novembre 1917 elimina il governo provvisorio e dà origine a uno Stato radicalmente nuovo, fondato esclusivamente sui soviet. Contro di esso, però, una composita coalizione di forze antibolsceviche, appoggiate anche da corpi di spedizione stranieri, scatena un’aspra e sanguinosa guerra civile, che si conclude solo nel 1921 con la piena vittoria dell’armata rossa (ideata e condotta da Trotzkij).
Vinta la guerra civile, la Russia sovietica si trovò di fronte a tali difficoltà economiche che, per poter ricostruire rapidamente le proprie capacità produttive, dovette smantellare almeno in parte l’edificio del “comunismo di guerra”, consentire una ricostruzione controllata e limitata della proprietà privata, e adottare criteri di produttività e di “rendimento commerciale”.
La Nuova Politica Economica (NEP) pur conservando allo Stato il controllo delle leve principali dell’economia, come la grande industria e il commercio estero, opera una svolta rilevante nei criteri e nei metodi.
Nelle campagne si abbandona la pratica di requisire la produzione “eccedente” il fabbisogno familiare, che viene lasciata alla libera disponibilità dei contadini, si passa ad una vera e propria ricostituzione della proprietà privata e si invitano i Kulak a commerciare, purché producano.
Nell’industria e nel commercio si reintroducono alcuni criteri tipici dell’economia capitalistica: i salari non sono più fissati dallo Stato, ma vengono liberamente contrattati. Il commercio interno viene largamente liberalizzato. Vengono incoraggiate le piccole industrie private purché forniscano allo Stato una percentuale della loro produzione. Le stesse aziende statali vengono gestite in base al principio del rendimento commerciale, anche se il loro profitto spetta allo Stato.
Lo Stato provvede a reintegrare la rete dei trasporti fluviali e ferroviari, ricostituisce la banca nazionale, e la autorizza a svolgere le operazioni necessarie per la ripresa economica, riforma la moneta creando un nuovo rublo di valore stabile, garantito in oro.
I risultati della NEP sono imponenti, gli indici di produzione salgono di anno in anno.
Il nuovo corso investe anche la politica estera, nella quale si cerca un compromesso fra le necessità di autoconservazione e di potenza e le sue specifiche premesse ideali che lo impegnano a diffondere il comunismo e a patrocinare la Terza Internazionale (Komintern), che proclamava la rivoluzione permanente e le lotte del proletariato su scala mondiale. Nella pratica politica prevalse però la linea del socialismo in un solo paese, che introdusse il nuovo Stato comunista nel concerto internazionale.
Riconosciuto fra il ’24 e il ’25 dalle maggiori potenze, lo Stato sovietico diventerà un punto di riferimento fondamentale della storia mondiale, sia per la grande influenza esercitata sul proletariato di molti paesi industrializzati, sia perché la professata avversione all’imperialismo gli conferirà un alto prestigio presso tutti i popoli sfruttati e sottosviluppati.
Il “triumvirato” e la liquidazione del trotzchismo
All’opera di ricostruzione iniziata in Russia con la Nuova Politica Economica Lenin non poté partecipare: dal dicembre 1922, infatti, quando la NEP era solo agli inizi, egli dovette abbandonare l’attività pubblica colpito da ripetute emorragie cerebrali che lo condussero a morte, a soli 54 anni, il 21 gennaio 1924.
Durante gli anni della sua malattia, il potere fu esercitato da Zinov’ev, Kamenev e Stalin, uniti fra loro dalla avversione verso Trotzkij, che per la sua superiorità culturale e per i meriti acquisiti in campo durante la rivoluzione era il più prestigioso esponente della dirigenza sovietica. Stalin era apparentemente il membro meno influente, ma si andava progressivamente impadronendo dell’apparato del Partito, del quale dall’aprile 1922 era divenuto il segretario generale.
Egli era deciso fautore del “socialismo in un solo paese” e avvertiva chiaramente che la Russia, in quel momento, doveva soprattutto consolidare i risultati raggiunti, mentre l’impostazione trotzchista della “rivoluzione permanente” e della diffusione del comunismo in tutto il mondo, si andava affievolendo col diffondersi in Europa dei regimi e di movimenti fascisti o parafascisti.
Già nel XIII Congresso del Partito svoltosi a Mosca nel maggio 1924, i triumviri riuscirono ad isolare il loro avversario e a ridurlo in una posizione marginale. Nel Gennaio del ‘25 Trotzkij fu allontanato dal commissariato degli affari militari. Successivamente la solidarietà fra i triumviri si ruppe e Zinov’ev e Kamenev passarono all’opposizione, ma l’autorità Stalin, oramai consolidata non venne rovesciata. Trotzkij venne prima espulso dal partito, (1927) poi allontanato in confino (1928) e infine abbandonò la patria nel 1929, rifugiatosi in Messico dove venne ucciso da un’agente di Stalin nel 1940. Zinov’ev e Kamenev, allontanati anch’essi dal partito cadranno sotto il plotone d’esecuzione nel 1936.
La libertà di critica e di dissenso era stata drasticamente ridotta, prima che da Stalin, da una deliberazione del X congresso del Partito (1921) che, per assicurare la compattezza e l’unità dei comunisti, prescriveva l’immediato scioglimento di tutti i gruppi, senza eccezione, sanciva l’inammissibilità di qualsiasi specie di attività frazionistica e prevedeva l’incondizionata e immediata espulsione dal partito per tutti i contravventori.
I piani quinquennali
Eliminati i principali oppositori Stalin dovette far fronte ai pericoli che la Nuova Politica Economica stava creando per la sopravvivenza del regime. La NEP aveva ricreato una classe borghese di commercianti, di industriali, di tecnici e soprattutto di kulak che non avevano alcuna ragione organica di fedeltà al comunismo e che anzi sarebbero stati avvantaggiati da una riforma democratico-borghese del regime.
Per non rafforzare ulteriormente la rinata borghesia russa, Stalin e i suoi collaboratori decisero di abbandonare la NEP e di promuovere una rapida industrializzazione della Russia adottando la politica dei piani quinquennali. Il primo venne inaugurato nel 1928 e si concluse in anticipo nel 1932, il secondo si concluse nel 1937 mentre il terzo venne interrotto nel 1938 con l’imminenza di un nuovo conflitto mondiale, che costrinse la Russia a concentrare gli sforzi nella produzione bellica.
Le difficoltà per attuare i piani erano enormi, la Russia era una nazione agricola, carente di cultura industriale e di capitali, l’obiettivo era lo sviluppo dell’industria pesante, ma per conseguirlo bisognava ristrutturare l’intera economia secondo una concezione unitaria e globale. Pertanto la Commissione statale pianificatrice (Gosplan), istituita fin dal 1921, raccolse le informazioni da tutta l’Unione e le rielaborò in vista dei fini da raggiungere e stabilì le quantità di tecnici, operai, macchine e materie prime da impiegare nei singoli settori dell’economia, nelle singole fabbriche e aziende. Naturalmente, perché persone e cose si incontrassero nei luoghi e nei momenti richiesti dallo sviluppo del piano fu necessario ampliare enormemente la quantità e il potere dei funzionari e dei controllori, e ne derivò un allargamento dell’apparato burocratico.
Al reperimento dei capitali si provvide mediante la compressione dei salari e mediante un forte prelievo dai redditi delle campagne. L’agricoltura, d’altronde doveva comunque essere ristrutturata perché i piani fossero realizzabili, in quanto i metodi antiquati di coltivazione delle terre assorbivano una tal quantità di manodopera da lasciare l’industria a corto di braccia.
Si procedette alla collettivizzazione delle terre ed alla riunificazione di centinaia di migliaia di piccole aziende nei Kolkoz e Sovkoz. Nei primi la terra apparteneva allo Stato, ma le abitazioni e piccole aree coltivabili erano di proprietà individuale, i secondi, assai più vasti, appartenevano interamente allo Stato e i contadini li lavoravano in qualità di operai agricoli salariati. Stazioni di macchine e trattori fornivano ai Kolkoz, secondo turni concordati localmente, sia i mezzi tecnici per una coltivazione razionale che le consulenze dei loro periti agrari.
La razionalizzazione dell’agricoltura non consentì di aumentare considerevolmente la quantità della produzione, ma la resa lavorativa pro capite crebbe a tal punto che in un decennio 20 milioni di lavoratori poterono essere trasferiti dalla campagna all’industria.
Il costo umano della collettivizzazione forzata fu spaventoso. I kulak, legati alle loro terre, cercarono di opporsi alla riforma, sia resistendo con le armi ai funzionari governativi, sia imboscando le derrate, diminuendo le seminagioni, macellando indiscriminatamente il bestiame. I rifornimenti alimentari divennero insufficienti , nel 1932 intere regioni furono colpite dalla carestia, e le vittime si contarono a centinaia di migliaia.
A loro volta i kulak furono oggetto di una persecuzione sistematica: sterminati o deportati in massa e adibiti al lavoro coatto nelle regioni più impervie dell’Unione, essi cessarono di esistere come classe sociale e milioni le vittime.
I risultati del primo piano quinquennale furono enormi: la produzione del carbone, del petrolio, della ghisa, dell’acciaio e del rame raddoppiò; la produzione dell’energia elettrica triplicò, l’analfabetismo si ridusse al 10% della popolazione; a contatto con tecnici, ricercatori e ingegneri fatti venire dall’estero, si formò una classe dirigente industriale russa, legata al regime da solidi vincoli di fedeltà. La produzione industriale passò dal 50 % al 70 % della produzione globale.
Solo durante l’attuazione del secondo piano quinquennale, però, le condizioni di vita cominciarono a migliorare: il razionamento dei viveri fu abolito nel 1935, una maggiore attenzione fu dedicata anche all’industria leggera, l’ampia meccanizzazione consentì una crescita della produzione agricola dell’8%; ma il tasso di sviluppo dell’industria fu ancora tale da richiedere enormi investimenti.
Alla fine del 1938 la Russia era la più grande produttrice mondiale di trattori e locomotive, le industrie, un tempo concentrate in poche regioni della Russia occidentale, erano ora espanse in tutto i paese. Per consentire gli scambi fra i nuovi centri di attività, le ferrovie erano state sviluppate enormemente e potevano trasportate un volume di merci 5 volte superiore rispetto al 1913. Il costo umano di questa poderosa crescita fu terribile.
Lo stalinismo
La pianificazione ottenne certamente il consenso di larghe masse: ogni meta raggiunta fu vissuta dalla grande maggioranza come un successo collettivo che coinvolgeva tutti.
D’altra parte l’impegno del regime per diffondere servizi assistenziali e sanitari era sotto gli occhi di tutti; come tutti potevano costatare lo sforzo messo in atto per promuovere l’istruzione delle masse, necessaria per preparare i quadri tecnici e politici.
I sindacati, a partire dal 1929, cessarono di essere i difensori dei lavoratori e si trasformarono in strumenti del regime per organizzare il consenso e per mobilitare e qualificare la manodopera. La competizione socialista, rivolta a stimolare la produttività, si congiunse strettamente con gli incentivi materiali, distribuiti secondo criteri di efficienza e di merito.
La centralizzazione burocratica e la ferrea disciplina necessarie per l’attuazione dei piani fecero perdere di vista le aspirazioni libertarie cui la rivoluzione si era originariamente ispirata. Già nel periodo del “comunismo di guerra” il potere si era concentrato nel Partito comunista ed all’interno di questo la libertà di dibattito era notevolmente ridotta, inoltre le forti tensioni generate dalle drastiche direttive dei piani quinquennali accelerarono la “degenerazione autoritaria”. Il confine tra dissenso e tradimento, fra opposizione e sabotaggio divenne evanescente. Contrastare la concezione staliniana del progresso a tappe forzate significò essere “nemici del popolo”.
Da queste premesse derivarono le purghe e i processi sommari che fra il 1934 il 1938 comportarono la fucilazione o la deportazione dei campi di lavoro oltre che dei leader più prestigiosi della vecchia guardia anche di centinaia di migliaia di quadri intermedi o inferiori.
In un clima di terrore sistematico Stalin s’affermò come interprete indiscutibile dell’ortodossia marxista-leninista contro ogni deviazionismo, il culto della personalità si manifestò in liturgie deliranti; l’arte, la letteratura, la scienza dovettero uniformarsi alle direttive del regime.
Tutta assorta nel titanico sforzo della propria edificazione interna, la Russia rimase per un certo periodo ai margini della vita internazionale, mentre il Komintern impegnava i comunisti di ogni paese in una lotta frontale contro tutti i partiti non comunisti, compresi quelli socialisti e decisamente democratici. Solo con l’avvento di Hitler e con il conseguente intensificarsi del pericolo di guerra, si ebbe l’ingresso della Russia nella Società delle Nazioni (1934) e un avvicinamento franco-russo, di chiaro significato antitedesco (1935). Anche l’Internazionale comunista (Komintern), nel suo VII Congresso svoltosi a Mosca nel 1935, votò un’importante deliberazione che invitava i comunisti a farsi dovunque promotori di fronti popolari, comprendenti anche i socialisti e i gruppi progressisti.
Riepilogo cronologico:
1918-1921 |
Guerra civile (comunismo di guerra) |
1921-1928 |
Nuova Politica Economica (NEP) |
1928-1932 |
Primo piano quinquennale |
1933-1937 |
Secondo piano quinquennale |
1924 |
21 gennaio Morte di Lenin |
1927 |
Trotzkij viene espulso dal partito |
Inizia la dittatura di Stalin |
|
1934 |
Ingresso della Russia nella Società delle Nazioni |
La guerra civile in Spagna (1936-1939)
Dopo la crisi seguita allo scacco che gli Stati Uniti le avevano inflitto nel 1898, la Spagna aveva saputo esprimere una generazione di intellettuali seriamente impegnati in un’opera di rinnovamento culturale e politico, come Miguel de Unamuno (1864-1937), e aveva visto il rafforzarsi delle correnti repubblicane e socialiste, che premevano per una riforma agraria, per l’autonomia regionale e per lo svecchiamento democratico dello Stato e della società nazionale, Le caste dirigenti però con l’appoggio del re Alfonso XIII erano riuscite a bloccare in un primo tempo ogni sviluppo democratico, imponendo la dittatura del generale Miguel Primo de Rivera (1923-30). Ma la crescente impopolarità di costui aveva in un secondo tempo costretto il re a congedarlo e a rientrare nella norma costituzionale: anzi il successo delle sinistre nelle elezioni del 1931 aveva indotto Alfonso XIII ad abbandonare il paese, che poté così darsi un’avanzata costituzione repubblicana.
Nel febbraio del 1936 un Fronte popolare, costituito da democratici progressisti, socialisti, comunisti e anarchici, riuscì vittorioso nelle elezioni e si apprestò a portare avanti un ardito programma di riforme sociali. Sconfitta sul terreno della legalità, la vecchia Spagna reazionaria non esitò allora a passare alle vie di fatto, trovando nel generale Francisco Franco, comandante delle truppe stanziate in Marocco, il proprio “duce” o, con termine spagnolo, “caudillo”, e nel movimento dei falangisti l’equivalente dei fasci italiani.
Ammutinatosi il 17 luglio 1936, Francisco Franco sbarca le sue truppe sul continente e le guida contro il governo repubblicano legittimo. Inizia così una guerra sanguinosa, condotta da entrambe le parti con pari accanimento e brutalità, per quanto con finalità etico-politiche diametralmente opposte, perché i governativi si battevano per una Spagna popolare e democratica, mentre i falangisti intendevano ribadire con la forza le secolari diseguaglianze del popolo spagnolo.
Da fatto interno spagnolo la guerra civile divenne presto evento di portata internazionale, perché, mentre l’Inghilterra e la Francia s’accordavano per una politica di non intervento e si astenevano effettivamente da ogni partecipazione al conflitto, l’Italia fascista e la Germania nazista appoggiavano apertamente i franchisti; la prima con l’invio di armi e di corpi di spedizione, la seconda soprattutto con l’invio di reparti aerei. In tali condizioni, il vantato non intervento anglo-francese si riduceva in pratica in una passiva condiscendenza nei confronti dell’aggressione fascista. Dalla parte del governo repubblicano legittimo si schierò invece, insieme con la Russia che mandò aiuti di limitate proporzioni, la più consapevole opinione pubblica internazionale democratica; gli antifascisti di tutte le nazionalità reclutarono e inviarono in Spagna una Brigata Internazionale, nella quale si distinse per il suo valore la Legione garibaldina, composta da fuoriusciti italiani.
Era peraltro impossibile che il governo spagnolo e i volontari antifascisti riuscissero a reggere indefinitamente contro i nemici, appoggiati da Stati moderni come la Germania e l’Italia: le zone di resistenza del governo repubblicano dovettero capitolare una dopo l’altra, e con la presa di Madrid, avvenuta nell’aprile del 1939, la dittatura franchista potè affermarsi su tutto il suolo della Spagna.
Il “caudillo”, esente dalle tendenze apocalittiche di un’Hitler come dall’istrionismo venato di qualche umanità di un Mussolini, poté, con fredda abilità, imporre alla Spagna un regime reazionario forse anche più nemico di ogni progresso degli altri regimi fascisti, ma saldamente basato sui pilastri del clero, della burocrazia, dell’esercito e della proprietà agraria semifeudale. Egli seppe prudentemente mantenere la Spagna estranea alla seconda guerra mondiale, che fu la voragine nella quale precipitarono nazismo e fascismo, e pose ogni cura nel tenere il suo Paese lontano dal vivo circuito delle correnti ideologiche e politiche contemporanee; cosicché, malgrado la crescente pressione delle opposizioni clandestine, gli scioperi, le manifestazioni popolari e gli attentati, il regime poté reggere fino alla morte del dittatore (20 novembre 1975).
Copyright©2019 – Giovanni Cadei e David Elber per CoEx